LA CONSULENZA FILOSOFICA COME STRUMENTO DI EMANCIPAZIONE INDIVIDUALE E SOCIALE

di Daniela Zanotti

Per un nuovo umanesimo l’uomo dovrebbe tendere alla scoperta del vero sé e la società dovrebbe valorizzare i talenti di ogni singolo individuo, affinché possa utilizzarli anche al servizio della collettività.
DIVIENI CIO’ CHE SEI!” esorta Nietzsche riprendendo un verso di Pindaro.
Il fondamento del nostro io, all’apparenza preordinato, è in continuo cambiamento.
Queste parole invitano con forza alla crescita e alla trasformazione dei propri stati.
Il mondo in cui siamo è anche quello che ci diamo.
A volte si ha una visione un po’ offuscata, come se guardassimo la realtà e noi stessi attraverso un occhiale appannato; tanti disagi nascono proprio dall’incoerenza tra la vita che stiamo vivendo e quella che invece vorremmo vivere, ma non sempre ce né consapevolezza.
La filosofia in tutti suoi aspetti è una continua ricerca e rappresenta un valido faro per orientarci nel mondo e per dare senso alle cose.
La caratteristica propria del filosofo consiste nel non smettere mai di interrogare e interrogarsi, anche quando sembra non esserci risposta.
La filosofia pratica inoltre aiuta a com – prendere meglio la realtà, a guardare dietro i concetti, a cercarne presupposti, ad allargare le prospettive; stimola l’esercizio del pensiero critico mettendo in discussione, saggiando premesse e valutando conseguenze.
La filosofia abitua all’onestà intellettuale alla correttezza morale e alla coerenza tra il dire e il fare. L’attività del pensiero permea l’intera esistenza, il suo inizio e la sua fine coincidono con l’inizio e la fine della vita stessa.1
Il modo in cui noi pensiamo dà forma ai concetti che diventando credenze, giuste o sbagliate, influenzeranno il nostro modo di pensare, il nostro modo di interpretare la realtà e di conseguenza il nostro agire.
La consulenza filosofica offre dei validi strumenti per affrontare ogni manifestazione dell’esistenza.
Erasmo da Rotterdam in una delle sue centurie, scriveva
Nunc bene navigavi, cum naufragium feci.
Posso dire di aver ben navigato, solo dopo aver fatto naufragio.2
Perché per navigare bene sarebbe necessario attraversare l’esperienza del naufragio?
La filosofia ci consente di cogliere la relazione non oppositiva tra il navigare e il naufragare, rivelandoci una perfetta consonanza e aiutandoci a considerare che il naufragio potrebbe non essere solo un deplorevole incidente, ma al contrario un presupposto indispensabile.
La filosofia pratica dialoga in maniera coerente sulla vita, su ciò che ci capita, sui valori, sulle contraddizioni, sui conflitti, indagando e allenando il pensiero.
Oggi, viviamo in una società che spesso fornisce risposte preconfezionate, attraverso spot, TV, giornali, etc. lanciando messaggi che portano a credere che la felicità dipenda dal successo, da ciò che hai e non da ciò che sei, da ciò che fai e non da come lo fai e che favorisce l’uso di iphone, ipad, smartphone, PC, etc. dove il massimo sforzo è cliccare su un Mi piace o un Condividi.
La comunicazione è diventata talmente frenetica che a volte prima di capire si parla o prima di pensare si agisce.
Per scrivere “ti voglio bene” bastano tre lettere TVB.
L’uomo sta veramente rischiando di perdere l’abitudine, non solo al dialogo, ma alle relazioni umane.
Sentiamo tante parole, ma quante ne ascoltiamo veramente?
Il Sentire è un atto involontario, mentre l’ascoltare implica la volontà di udire qualcosa ma soprattutto di voler comprendere.
Zygmunt Bauman dice: “I nuovi rapporti vivono di monologhi e non di dialogo, che si creano e si cancellano con un clic del mouse“.
Il filosofo Montaigne, fermo assertore dell’importanza del dialogo, ripeteva spesso che la discussione è il miglior mezzo per abbattere le differenze fra individui, per stimolare la crescita personale e il senso di disciplina di ognuno. Riteneva che «la conversazione fosse l’esercizio più fruttuoso e naturale per le menti, e la sua pratica la cosa più piacevole di qualsiasi altra al mondo»; come condizione assoluta per la conversazione egli indicava una mente aperta e dichiarava: «Nessuna asserzione mi stupisce, nessuna convinzione mi ferisce per quanto contrastante alla mia. Non c’è idea tanto frivola o stravagante che non mi sembri confacente alla produzione della mente umana»3.
Il consulente filosofico mette a disposizione la propria capacità dialogica, dando vita con il consultante a un dialogo filosofico, trattando concrete questioni della vita reale, occupandosi del disagio esistenziale, rapportandosi anche con la dimensione del dolore, della sofferenza e della morte.
Dolore, morte e paura sono argomenti dai quali a volte si preferisce prendere le distanze, ma con i quali, in quanto esseri mortali, prima o poi dobbiamo fare i conti.
Di fronte a questi temi la filosofia viene in soccorso aiutandoci a comprendere meglio noi stessi e a trovare una consonanza di senso.
Per un ben vivere è indispensabile riempire la vita finanche di pause; momenti in cui fermarsi … pensare … farsi domande sul significato che diamo alla vita e al nostro agire, sulle difficoltà che incontriamo, sui fallimenti che non riusciamo a evitare e sul modo in cui guardiamo al futuro.
Il consulente filosofico, quindi, attraverso il confronto offre un approccio diverso ai problemi esistenziali, morali o decisionali; favorendo una migliore comprensione della vita e delle sue dinamiche, contribuisce ad una nuova costruzione dell’esperienza, cercando di far emergere potenzialità e risorse individuali inesplorate, ma indispensabili per realizzare un nuovo progetto esistenziale.
In questo senso la consulenza filosofica si fa strumento di emancipazione.
Per concludere vorrei portarvi l’esempio di come un uomo più di due secoli fa, attraverso un intimo e profondo dialogo filosofico ha saputo affrontare la sofferenza della malattia, superando la paura della morte, trasformando il suo demone maligno in un dono per tutta l’umanità.
Luigi Magnani, noto musicologo lo descrive come un uomo dotato di una mente curiosa e arrovellata, con un forte temperamento morale, cittadino assetato di giustizia e libertà, affamato di poesia, assiduo lettore di Omero, dotato di una profonda sensibilità filosofica che non smise mai di coltivare.
L’uomo di cui sto parlando è Ludwig van Beethoven.
Prima di dedicarsi completamente alla musica, il giovane Beethoven si iscrisse , nel 1789, alla facoltà di Filosofia dell’Università di Bonn, sua città natale.
Egli intendeva coltivare gli interessi musicali e, contemporaneamente, conseguire quella formazione estetica e filosofica che, secondo la nuova sensibilità illuminista, poteva permettergli di esercitare con ancora maggiore consapevolezza l’arte musicale.
In seguito alla morte del padre e all’aggravarsi dei problemi di salute fu costretto a trasferirsi nella sua casa di Heiligenstadt, nota località termale, presso Vienna,
Quei mesi trascorsi in campagna, che dovevano servirgli a riprendersi dalle varie cure mediche
cui aveva cominciato a sottoporsi da qualche anno, furono mesi di isolamento, di silenzio e di riflessione a contatto con la natura,
L’urto col proprio destino suscitò in lui una profonda inquietudine, che lo costrinse a interrogarsi sul senso della propria esistenza sulla quale incombeva una pena del contrappasso anticipata, che gli avrebbe precluso, proprio negli anni più belli della vita, ogni possibilità di realizzazione dei propri talenti.
Le sue riflessioni sono documentate dallo stesso Beethoven nelle lettere che scriveva:
Oh, vorrei prendere il mondo nelle mie mani, se fossi libero dalla mia malattia!
La mia gioventù, sì lo sento, comincia appena ora. …..
. Se potessi liberarmi anche solo di metà del mio male, ….
Voglio afferrare il destino per la gola, esso non potrà piegarmi completamente.
Oh, è così bello vivere mille volte la vita!
Una vita tranquilla, no, lo sento, non sono più fatto per essa.
L’inquietudine e il dramma del compositore non trovano risposta né nella serena accettazione leibniziana di una certa quota di male e d’imperfezione, come inevitabile componente di quello che è comunque il migliore dei mondi possibili, né nell’ affermazione kantiana dell’adempimento della legge del dovere come culmine della moralità e pegno della speranza in una felicità futura.
Per altro in una lettera ad un’amica confessa di aver trovato rifugio in un atteggiamento che ha tutto il sapore, e la nobiltà, dello stoicismo: accettazione del limite in quanto necessario, «rassegnazione»,
e insieme deliberato proposito di superarlo, «Certo, mi sono proposto di essere superiore a tutto». In quel momento il destino, der SCHICKSAL cambia, assumendo un altro volto, quello del guerriero. che si rivela via via durante il percorso dalla sordità come malattia alla sordità come scopo.
“Quel che ho nel cuore deve venire fuori e così lo scrivo”. Trova il modo di rappresentare quel destino che bussa con forza alla sua porta:

Tutta la sinfonia risuona di quella lotta contro un destino implacabile, che viene eroicamente ricacciato nella tenebra in nome della chiarezza della ragione umana.
Il maestro utilizza la scrittura, come fosse un moderno strumento euristico della consulenza filosofica, per le sue conversazioni e nelle lettere che palesano i suoi pensieri, i suoi valori e la sua filosofia di vita:
mi sono illuso nella speranza di un miglioramento e, infine, rassegnato alla prospettiva di un male duraturo ….
Come potrei rivelare proprio la debolezza di un senso che io dovrei possedere più perfetto di ogni altro, un senso che ebbi dotato di grandissima perfezione, quale certamente poche persone del mio mestiere hanno mai avuto….
La mia sventura mi è doppiamente penosa, poiché le debbo anche di essere mal giudicato … , quando avevo vicino qualcuno che udiva in lontananza un flauto ed io non sentivo niente; lui udiva il pastore cantare, e ancora io non sentivo niente.
Queste esperienze mi portarono vicino alla disperazione.
Poco mancò che io stesso non mettessi fine alla mia vita.
Soltanto lei, l’Arte, mi ha trattenuto.
Mi sembrava impossibile dover lasciare il mondo prima di aver compiuto tutto quello per cui sentivo di essere stato creato…
Pazienza, così si chiama la guida che debbo scegliere, e io ne ho.
Spero che la mia decisione di attendere fino al giorno in cui alle Parche inesorabili piaccia recidere il filo della mia vita, possa durare e resistere.
Forse andrà meglio, forse no: sono pronto a tutto.
Dover fare il filosofo a soli ventott’anni non è facile, per un artista è ancora più difficile….
Dentro di me, vi dimorano l’amore per gli uomini e l’impulso a fare il bene. …
ad onta di tutti gli ostacoli della natura, ho fatto tuttavia quant’era in mio potere per essere ammesso nella schiera degli artisti e degli uomini degni….
Così è andata. Corro incontro alla morte con gioia.
Se essa, però, giungesse prima che io abbia avuto il tempo e il mezzo di sviluppare tutte le mie facoltà artistiche, essa verrebbe ancora troppo presto, nonostante il mio duro destino, ed io, in questo caso, vorrei che tardasse ancora.
Ma anche così sono contento: la morte non mi libererà forse da uno stato interminabile di sofferenza?
Vieni quando vuoi, io ti incontrerò con coraggio.
Nonostante la sua completa sordità, i dolori fisici e tutti gli altri problemi di salute il maestro continuò a comporre, lasciando a noi posteri la sua eredità.
L’ultima opera, una tra i suoi capolavori più celebri: la nona sinfonia in Re minore op. 125, che si conclude con L’inno alla gioia, contenente un messaggio umanista e universale, celebra il trionfo della gioia e della fraternità tra tutti gli uomini sulla disperazione e sulla guerra

1 H. Arendt, Vita activa, (trad. it. a cura di F. Finzi), Bompiani, Milano, 1964, p. 180.
2 Erasmo da Rotterdam, Adagi, (trad. it. E. Lelli), Bompiani, Milano, 2013, Centuria 1878, p. 1536.
3 M. de Montaigne, Saggi, (a cura di Fausta Garavini e André Tournon), Bompiani, Milano, 2012, p. 1713.
4 note lapidarie e scultoree così inizia la Sinfonia V in do – Op. 67, completata nel 1807.

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