La consulenza filosofica individuale: un rimedio contro il “tempo infelice”
di Nicoletta Poli
Parte prima – Lasciamo che la filosofia si impadronisca di noi

La consulenza filosofica individuale è un’attività professionale nella quale il filosofo si mette a disposizione delle persone disponibili ad affrontare con spirito di ricerca problemi/questioni inerenti la propria vita. Di essa in particolare mi occuperò in queste pagine, tentando di sintetizzare alcuni punti evidenziati nel mio libro “Vite contro vento. La consulenza filosofica individuale”, Ipoc Path of Culture, Milano, 2012, per chiarire, in buona parte, come “praticarla”.

Ma la prima questione è: la consulenza filosofica individuale nasce da una esigenza solo intellettuale? Le persone che vengono in consulenza filosofica sono esclusivamente degli intellettuali che vogliono discutere di questioni concettuali e astratte con un filosofo? Risposta: quasi sempre no. Sono persone che soffrono e hanno problemi concreti.

Tempo infelice, diceva Musil(1). Tempo di disperazione, anche. E’ vero, la vita è intollerabile, talvolta. Il tempo indisciplinato, infelice…Ci si sente come in una bolla di vetro dalla quale magari si vede la gente andare e venire senza senso e, soprattutto, senza che la gente ci veda. Capita di agitarsi, urlare, lanciare i pugni contro il vetro, ma nessuno ci ascolta. E allora viene voglia di dichiarare fallita la propria mission sulla terra. Ma allora perché non proviamo già da ora a crescere spiritualmente e moralmente? Perché, nella tempesta della vita, non proviamo a esercitare la “saggezza filosofica”, ossia, per dirla alla Achenbach – la capacità di saper vivere (2)? Un saper vivere, aggiungo, non così a disagio con quel dolore che tanto permea questo mondo. Anzi, non si potrebbe trasformare questo dolore in un demone alleato per esplorare nuovi orizzonti, inediti desideri, mete ancora inesplorate? Perché non riconquistare la posizione eretta dialogando filosoficamente? Tutti insieme, perché il pensiero è un patrimonio comune, corale. Preziosissimo. Lasciamo che la filosofia si impadronisca di noi….Lasciamo che il pensiero filosofico di Epitteto, Marco Aurelio, Seneca, ci attraversi insegnandoci la potenza leggiadra della Prosochè (3), che ci riporta ad una migliore relazione con la nostra interiorità.

Un’altra questione è: una consulenza filosofica può risolvere l’infelicità di un individuo? Può ricondurre l’individuo alla pura gioia di vivere? La risposta è sì, ma con modalità completamente diverse dalle varie forme di psico-terapia. Personalmente vivo questo lavoro come una professione che necessita di vocazione: un modo di vivere avendo a cuore gli altri, cercando sempre di mettere in condizione la persona di guadagnare sufficiente autonomia da abbandonare la consulenza. Come sostiene Ran Lahav, una pratica filosofica non punta a risolvere i problemi della gente, riconducendoli nell’alveo del comune sentire, quanto piuttosto a dischiudere nuove prospettive di saggezza, più ricche e più profonde, ma non per questo più blandamente rassicuranti (4).

Quante volte – coi miei consultanti – si è perso per strada il problema da cui si era partiti…O meglio, si è trasformato in qualcos’altro. Magari si è ritornati al punto-origine, da dove sono nate tutte le nostre strategie di sopravvivenza. E ciò perché il terreno della consulenza filosofica è la libertà. Ossia le possibili infinite possibilità di ricerca della filosofia. Nell’ambito della consulenza filosofica assistiamo alla messa in scena ed all’avventurosa esperienza del dialogo, della incertezza e precarietà della vita, che spesso non è finalizzato alle grandi domande della filosofia, l’Essere, il Divenire, Dio, l’Anima, l’Ente…..con grande critica della Filosofia Accademica. Nessun sapere assoluto, ma solo domande ad infinitum ad aprire lo spazio del possibile, del bizzarro andirivieni della vita. Nessun pensiero pensato una volta per tutte, nessun concetto cristallizzato, nessun confine. Solo la consapevolezza del mutamento, cogliendo gradualmente il nostro essere, la nostra origine. E andando incontro anche alla tempesta, non rifiutando il tragico, non sfuggendo alle ombre ed impurità della vita, non pretendendo di approdare ad una metafisica ottimista a tutti i costi, bensì affidandosi al tribunale della propria ragione, a quel Sàpere aude di kantiana memoria: abbi il coraggio di servirti della tua ragione! (5).

Ma l’inquietudine di porsi – con lo strumento della ragione – davanti alla mega domanda esistenziale “Chi sono? Dove vado? Qual è la mia missione? Sono io più forte del mio destino? Cosa c’è dopo la morte? Riuscirà l’amore a vincere l’odio?”, la consulenza filosofica non ha la pretesa di estirparla. Nulla è estirpabile, semmai tutto è oggetto di trasformazione, magari di momentanea “messa in parentesi” ai fini della ricerca di un nuovo significato…

Seneca (6) ci insegna: “In seguito ti spiegherò più scrupolosamente come tutto ciò che sembra finire, in realtà muta. Siamo destinati a tornare, e dobbiamo perciò uscire serenamente dalla vita. Osserva il corso delle cose che ritornano in se stesse: vedrai che nulla a questo mondo si estingue, ma, alternativamente, declina e risorge. L’estate se n’è andata, ma l’anno venturo la ricondurrà con sé; l’inverno è finito, lo riporteranno i mesi che gli sono propri; la notte ha oscurato il sole, ma subito il giorno la scaccerà a sua volta. Gli astri ripercorrono nella loro corsa gli spazi già attraversati; di continuo una parte del cielo si solleva, una parte sprofonda”.

Tornando a Musil, il tempo attuale è tempo di attesa, impaziente, indisciplinato, infelice.. Ma è tutto quello che abbiamo e possiamo provare a trasformarlo affidandoci alla filosofia.

Ogni consultante, ad un certo punto, vede le mura del mondo aprirsi, intravvede la propria capacità di essere libero insieme al brivido davanti all’universo, davanti a quello spazio immenso che è la propria autonomia. Ma quel brivido è l’inizio di un percorso di conoscenza esaltante. Si pensi alle parole di Goethe (Secondo Faust 6272):” Il brivido è la parte migliore dell’uomo. Per quanto il mondo gli faccia pagare cara questa emozione, è con rapimento che l’uomo sente profondamente la realtà prodigiosa”.

Affermando che la filosofia nasce dalla meraviglia, Aristotele intende forse dire che essa nasce dal terrore provocato dall’imprevedibilità del divenire della vita? Conoscendo le “cause” del divenire, la filosofia rende prevedibile l’imprevedibile, lo inserisce nella spiegazione stabile del senso del mondo, e quindi appronta il rimedio contro il terrore della vita (7). Dolore e meraviglia sono le esperienze sulle quali la filosofia, esercitando il pensiero, costruisce la conoscenza, senza altro scopo che conoscere. La filosofia, in tale ottica, sarebbe tesa verso una direzione di primo acchito contraddittoria: epistéme (8), verità incontrovertibile che inten­de svelare il senso e l’origine del divenire e, al contempo, lucida analisi dell’imprevedibilità estrema del divenire, dell’estrema im­possibilità di anticipare, in una legge immutabile, il divenire del mondo. Certo è che, nel momento in cui ci si interroga, in quel preciso istante, nasce la filosofia. E quanti soggetti andavano da Socrate e domandavano, cercavano un rimedio alla loro inquietudine? Nel dialogo socratico alla fine- dopo un lungo e tortuoso cammino spirituale – si giunge sempre a rendere conto di se’, della propria esistenza. Il filosofo non insegna, in questo dialogare, bensì obbliga l’interlocutore ad osservare attentamente se stessi prendendosi cura di se’, ad occuparsi dei propri progressi interiori, delle proprie involuzioni o superficialità. E parlando del dialogo con il proprio interlocutore: “…..arrecherò il massimo beneficio cercando di persuaderlo a preoccuparsi meno di ciò che ha che di ciò che è, per diventare eccellente e ragionevole tanto quanto è possibile”. Socrate costringe, ad esempio, Alcibiade a confessare a se stesso le proprie mancanze fino a non ritenere spesso possibile comportarsi come in passato. Nelle Nuvole Aristofane – forse influenzato dalle pratiche socratiche: “Medita adesso e concentrati profondamente con tutti i mezzi, avvolgiti su te stesso concentrandoti. Se cadi in qualche difficoltà, corri svelto in un altro punto…..Non ricondurre sempre il tuo pensiero a te stesso, ma lascia che la tua mente prenda il volo nell’aria, come uno scarabeo che un filo trattiene per una zampa.” (9). Anche il dialogo con se stesso è un brivido, l’apertura di uno spazio interstellare, del senso della propria vita sulla terra. Il prendere coscienza che il destino umano si governa affrontando gli impedimenti con la tranquillità della ragione, sfuggendo alle auto-difese inutili e alle reliquie dei pregiudizi del passato. Senza la filosofia l’anima è malata. La filosofia insegna ad agire, non solo a parlare ed argomentare, ed esige che la vita non sia in discrasìa con le parole. E Seneca: “Perché vogliamo ingannarci? Non viene dall’esterno il nostro male: è dentro di noi, sta nelle nostre stesse viscere e, perciò difficilmente possiamo guarire: ignoriamo di essere malati. Dunque, la filosofia aiuta a correggere noi stessi indubbiamente, poiché ci traghetta ad un bene che possediamo per sempre: la virtù. E la virtù non si disimpara. Essa è secondo natura, mentre i vizi sono ostili e avversi. La filosofia è ricerca di virtù, ma attraverso la virtù stessa; e la virtù non può esistere senza la ricerca di sé, né la ricerca della virtù senza la virtù. La filosofia è teoretica e pratica insieme: osserva e contemporaneamente agisce. Della filosofia, però, non ci si dovrà vantare praticandola con insolenza e arroganza. Un grande insegnamento, quello di Seneca. La filosofia aiuta a comprendere il mondo. Come dire, con Lahav: “Una migliore comprensione della tua visione del mondo, cioè del modo in cui concepisci te stesso e il tuo ambiente, ti aprirà probabilmente nuovi modi di relazionarti a te stesso e al tuo mondo” (10). Quasi una conversione, un cambiamento di visione della propria e dell’altrui vita in una cornice di attenzione a se stesso, di vigilanza su una sorta di virtù cosmica. Vite contro vento, sempre messe alla prova, ma come coraggiosi fari nella tempesta che sfidano mareggiate e venti forti.

(1) R. Musil, L’uomo senza qualità, vol. primo, parte seconda, Einaudi, Torino, 1957, p.390.
(2) G. Achenbach, Lebenskonmerschaft, Freiburg, Herder, 2001 (trad. it. Saper vivere, Apogeo, Milano, 2006).
(3) Dal greco che significa “cura di sé”. Il concetto, introdotto dagli stoici ed, in particolare, da Epitteto nel suo Manuale, è attenzione consapevole, ri-centramento su di sé, una riappropriazione della propria ragione, del proprio modo di valutazione della realtà.
(4) Ran Lahav, Reflection 1, 20 settembre 2005, “Philosophical practice: Normalization or inner transformation?”, in http/www.ranlahav.net Trad.it. Contributo per un ripensamento critico della filosofia pratica. Parte Prima: Riflessioni 1,2,3,4,5, su “Phronesis”, Anno IV, n.6, Aprile 2006.
(5)  Immanuel Kant, Risposta alla domanda che cos’è l’illuminismo? In Id., Stato di diritto e società civile, Editori Riuniti, Roma, 1982, p.113.
(6) Seneca, Lettere a Lucilio, Libro IV, 11.
(7) Nella storia della civiltà occidentale, la filosofia, proprio in quanto contempla­zione pura e disinteressata delle “cause” del divenire, è stata il primo strumento con il quale l’uomo dell’Occidente ha soddisfatto il proprio fondamentale interesse: la li­berazione dal terrore della vita. L’altro grande rimedio è diventata la scienza.
(8) Come in Platone, anche per Aristotele l’epistème rappresenta la forma di conoscenza più certa e più vera, contrapposta all’opinione.
(9) Aristofane, Nuvole,,700-6; 761-63 ( trad. fr. Van Daele modificata) ; sta in: Aristofhanes, ed.V. Coulon e H. Van Daele, Les belles Lettres, Parsi,1948-58).
(10) Lahav, Ran, Comprendere la vita. Milano, Apogeo, 2004, pp.20-21

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