L’”OLTRE ROMANZO”  IL SACRIFICIO DEI PEDONI  di  G.R. MANZONI:                                           SCENDERE NEGLI INFERI PER POTER RAGGIUNGERE LE STELLE – Recensione di Nicoletta Poli

Per amore, solo per amore. O per passione, solo per passione. Che sia questo il fil rouge della memorabile ultima fatica Il sacrifico dei pedoni del conte Gian Ruggero Manzoni?                                                                              Certamente Manzoni è convinto che sia necessario desiderare, perché privarsi del desiderio significa privarsi della passione. Ma non di quella passione irrazionale, balorda e un po’ maligna, bensì di quella dei grandi ideali, del cuore che vuole coinvolgere l’umanità intera nel realizzare un fiorito sogno. E poi, alla fine, bisogna ricordare “che si è tutti uomini e che si è tutti sulla stessa barca. Cioè il ricordare che sei umanità”. E non importa se rimani con pochi idealisti, solipsistici compagni di viaggio che non mollano e che vogliono raggiungere le stelle a tutti i costi, anche sacrificandosi a vivere buona parte della loro vita negli inferi. Chi se ne frega.                                                                          L’importante è sentire la vita che ti scoppia dentro, che ti soffia nelle orecchie.

Manzoni ed io siamo coetanei e quell’incredibile ’77, quel randagio e malevolo 11 marzo, mentre Manzoni, detto “Il Conte” era in galera, io lo vivevo sulla strada e sulla mia pelle a Bologna tra i pianti per la morte di Lorusso, i gas lacrimogeni ed i carri armati del PCI. E bisogna ringraziare questo eclettico artista per avere scritto tale libro di memorie, che, se non rientra nella memorialistica classica e/o nell’autobiografia moderna, è di certo un “oltre romanzo”.  Un “oltre romanzo” come l’oltre uomo di Nietzsche, ossia l’uomo che diviene se stesso in una nuova epoca lottando contro quel nichilismo passivo che caratterizza l’Italia del XXI secolo, traducendosi nella scoperta dell’inesistenza di uno scopo della vita, di un desiderio , di una vera passione. Un nonsense esistenziale, che può essere superato solo con un accrescimento dello spirito, solo con la realizzazione corale di un Nuovo Umanesimo in  cui l’uomo è libero dalle catene e dai falsi valori etici e sociali dettati dal “sistema”. E in questa nuova epoca l’importanza della cultura è pari all’importanza della memoria.                                                                                                Cita il Manzoni: “Quando si rinuncia alla memoria, o si perde la memoria o fai di tutto per negarla o la calpesti, ecco che tu non sei. Infatti noi si è perché si pensa…come poi diceva Cartesio…ma noi si è perché si ricorda, e in quel ricordo, in quella memoria sei tutti, perciò non sei mai solo se capisci questo”.                                                                     E infatti, leggendo questo “oltre romanzo”, non mi sono mai sentita sola, da buona frequentatrice degli inferi, nonché da aspirante coordinatrice di transito di esseri umani verso il cielo.

Non solo. Mi sono sempre chiesta come mai certe persone, pur conducendo vite trasgressive, rischiose, non proprio dedite alla cura del proprio corpo, riescano a sopravvivere a quelle igieniste, vegetariane, maniacalmente concentrate sull’essere sempre sani ed efficienti. Da buddista, credo sia una questione di missione karmica che dobbiamo portare a termine nella vita. Non si spiegherebbe allora perché, il Conte, nonostante tutte le sue scorribande (anche molto divertenti, talvolta sguaiate, eppur sagaci) tra droga, alcool, notti insonni, sesso, galera, doppie vite con annesso altissimo rischio di morte ogni volta, sia sopravvissuto. Certo, come lui stesso scrive, ha sempre salvato una parte di sé. E anche questo non mi ha fatto sentire sola, perché forse ci accumuna l’assumere una giusta distanza dagli eventi, seppur massimamente coinvolgenti, che solo l’artista può adottare, perché la sua opera deve respirare fuori da banali liturgie o ripetitivi e noiosi cerimoniali di branco. L’artista deve saper vedere oltre il fumo ed il triviale, anche se, talvolta, per far vivere e far pulsare nei cuori dei lettori il racconto, necessita di entrare in esistenze che non gli appartengono. Come scriveva K. Kraus, bisogna mimare il sistema ed entrarvi per sconfiggerlo dall’interno. Mimando e rappresentando anche il suo linguaggio. E il Conte, col linguaggio, ci sa fare assai bene. Ma non è possibile, oggi non è più possibile distruggere il sistema dall’interno. Non ti ci fanno nemmeno entrare, ti espellono prima. La storia è chiara, a questo riguardo. E Manzoni lo sa e neanche ci vuole entrare nel sistema.

E così questo libro virilmente epico, volto alla descrizione più che all’esaltazione di eroi-pedine, giovani anime sacrificali, mi ha restituito interamente il senso del Movimento. Un Movimento che ha frullato diverse anime e ha pianto i suoi morti, ma che ha avuto un obiettivo altissimo, forse poco compreso anche da chi l’ha vissuto come contemporaneo. E qui Manzoni ci fa una lezione di storia, alternando un linguaggio talvolta triviale ad uno poetico e composto, ma sempre umano e scevro da pregiudizi. Ed è proprio da qui che Manzoni inizia a fare una lezione di filosofia del Movimento: “Chiunque riesca ad uccidere un preconcetto è un eroe, ecco il perché noi crediamo nel Movimento, ci crediamo perché vuole abbattere i muri che ci dividono, in primo luogo quelli tra noi giovani, poi quelli tra generazioni.” Ed è forse l’assenza di pregiudizio che starebbe alla base di un Nuovo Umanesimo di cui il ’77 è stato, a mio modesto parere, un tentativo in nuce un po’ sgangherato e sincero? Sì, penso io. E credo lo potrebbe pensare anche Manzoni proprio mentre soccorre la sua amica che gli parla sommessamente, diventando, in un sol attimo, il simbolo di quegli agnelli sacrificali del ’77: “Io Conte, seppure mi spari della robaccia in vena, seppure creda poco in me, non sopportando le mie debolezze e cercando nella roba un beneficio al tanto dolore che mi vive, credo negli altri, credo ancora nell’umanità, in te credo, che stai qui, vicino a me, che non mi giudichi, che cerchi di capirmi, che mi accetti per quella che sono”.

E mentre fuori, in quella maledetta primavera, c’era una Bologna in stato di guerra, assediata, il Conte, catturato, lottava con la paura arrivando poi ad uno stato di padronanza di sé, consapevole che “I pezzi nobili della scacchiera stavano bevendo champagne a Montecarlo oppure a Montecitorio, o mangiando caviale assieme agli Agnelli e noi carne a tocchi da gettare sulla graticola dell’eterna immoralità e iniquità che dominano questo paese”..I pedoni della scacchiera lottavano, si sacrificavano, ma il sistema resta quello: inossidabile. Attualissimo!

E la lezione di storia il Manzoni ce la propina quando – in una pagina lucidissima dell’”oltre romanzo” – sostiene che la gente non aveva capito nulla del Movimento. E ancora oggi non comprende. Un Movimento che si faceva massacrare per affermare la dignità dell’uomo, contro il mondo dei banchieri, dell’imperialismo americano, dei politici corrotti venduti al capitale, di una sinistra morbida che il filosofo Diego Fusaro, oggi 35 enne, definisce “fucsia”, ossia scesa ai patti col sistema e disinteressata al popolo. I bolognesi, votati alla compravendita di tortellini, lasagne e mortadella, in quel momento, non capivano il sacrificio di quei giovani pedoni che gridavano dignità e libertà lungo le strade della loro città. Giovani pedoni che volevano riempire un vuoto non coi soldi e l’ipocrisia, ma con l’immaginazione,  l’arte, la cultura. Quel gridare “Potere all’immaginazione”, scritta insistentemente sui muri della Facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna, era un grido contro quel sistema inossidabile che si è poi incarnato nel nostro “terramondo”, diventando sempre più cannibale, onnivoro, come un parassita che staziona nei nostri corpi  senza un nostro moto di ribellione. Ormai da 40 anni.

Manzoni ed io, che nel ’77 avevamo 20 anni, abbiamo visto morire dei giovani per questo. E sopravvivere a tutto questo non è stato facile. Talvolta è meglio morire che sopravvivere come spettri. Ma sono anche convinta che se hai la memoria e la voglia di desiderare, qualcosa combini. E Manzoni, insieme ad altre sue opere egregie, ci ha regalato quest’ “oltre romanzo” per ricordare, sapere, comprendere a fondo.

William James sosteneva che l’uomo dovesse avere qualche connessione vitale con l’universo in cui vive, che può essere soltanto di due generi: o tale da deprimere l’individuo, o tale da sostenerlo e rafforzarlo. E tra pessimismo e ottimismo aveva individuato la terza via del meliorism, dottrina etica che da’ fiducia alle capacità dell’uomo di realizzare il miglioramento morale di sé per migliorare il mondo. Trattasi di un’ idea dell’uomo come una sorta di progetto virtuoso, consapevole del fatto che si rischia tutti i giorni il naufragio, ma pur sempre teso verso un futuro migliore. In tale contesto anche il destino più brutale, qui si può “aggiustare”, modificare. Manzoni voleva forse questo? Noi giovani del ’77 volevamo questo? Io penso di sì, magari con stili comunicativi e di vita differenti. Volevamo probabilmente un Nuovo Umanesimo, come dicevo prima. Ma non esiste un Nuovo Umanesimo se non v’è un’economia differente, non più secondo il paradigma della produzione e del consumo in vista dell’accumulazione di capitale, bensì secondo il paradigma della cura del Bene comune. Un’economia che non faccia vittime, un’economia pensata non come scienza perfetta, ma come un ambito che interagisce con la cultura. I modelli capitalistici successivi al 1980, dopo la privatizzazione della moneta avvenuta nel 1971 (svincolo della stampa della moneta dall’oro, Bene comune), sono tutti insostenibili. In particolare, l’ultimo modello, definito “capitalismo ultrafinanziario” vuole massimizzare i titoli e quindi i debitori, compresi gli Stati, che devono essere deboli e poco solvibili, perché in questo modo si  cartolarizza, si impera con milioni di miliardi di titoli tossici.

Ma è vita questa? Siamo forse liberi? Libertà è vivere con dignità, sentirsi Valore, con la possibilità di esprimere i propri talenti, creatività, pensiero, competenze, capacità. E, soprattutto, la libertà è legata all’acculturamento. Lo sosteneva Schopenhauer, aggiungendo che L’ignoranza è il nemico peggiore della libertà, perché, se agiamo nell’ignoranza, non siamo noi a scegliere, ma lasciamo che altri ci dicano ciò di cui abbiamo bisogno, ciò di cui non possiamo fare a meno”.

Noi del ‘77 non volevamo l’ignoranza, ma la libertà che si conquista evolvendosi, liberandosi dalle omologazioni, dai vicoli imposti da modelli di vita superficiali ed umilianti per l’essere umano. E studiavamo. Nell’”oltre romanzo” Il sacrificio dei pedoni, Manzoni studiava, citava, discuteva. Si leggeva Canetti: «Oh essere un libro! Un libro che viene letto con tanta passione!». Non si usciva senza un libro, ci si sentiva nudi, altrimenti.

Nella nostra società contemporanea di tivù spazzatura ove tutto sembra dorato, sempre assetata di ri-orientamento per soffrire meno, i percorsi spirituali talvolta proposti da più parti hanno spesso come obiettivo quello di portare vantaggio al proprio corpo o un vago benessere in un’ottica spesso individualista ed egotica. Sono molti i giovani, ma anche gli adulti, che hanno paura di farsi le domande su chi sono e perché vivono. Spesso si pensa all’avere e non all’essere. Una sorta di vita estetica di Kierkegaard il cui esito finale è la disperazione, la presa di coscienza dell’assoluta vanità di ogni cosa. Per noi del ’77 le domande: chi sono? Dove vado? Quali valori mi danno la possibilità di diventare un essere significante? Perché mi sento vuoto? Funziono e basta o vivo? erano il nostro pane quotidiano. Manzoni e noi giovani del ’77 queste domande ce le ponevamo, sapendo altresì che dovevamo stare insieme. Anche se non si vedono, esistono milioni di fili tra noi: invisibili come le onde radio o come i percorsi dei nostri pensieri; fili che possono essere fatti di valori comuni, d’amore, di amicizia, di relazioni professionali, di conoscenze occasionali… Senza tutto questo è  puro trionfo del nulla.

Fortunatamente certi uomini non amano tuffarsi in una cuccia calda preferendo il sacro al profano, fingendo di essere puri e avulsi dalle tentazioni, non amano ambire alla libertà di non scegliere. Certi uomini amano le rappresentazioni tragiche, le tragedie greche di EschiloSofocle ed Euripide, in cui il capretto o l’agnello è primizia da offrire al dio come vittima sacrificale e che individuano alcuni motivi ricorrenti, ad esempio la vendetta. Ma quale vendetta avrebbe coinvolto i reduci, i sopravvissuti del Movimento? Nessuna vendetta, no. Ognuno di noi ha reagito in qualche maniera ed è sopravvissuto. Manzoni l’ha fatto con una doppia vita, anche questa di grandi sacrifici. Ma di grande evoluzione spirituale, a vedere la sua arte. Da buon romantico scrive:“Romanticismo..il vecchio, insanabile, insaziabile romanticismo che sbuca sempre fuori..”. Già, quel romanticismo amico delle nostre giovani vite, irriverente nei confronti dei regimi e delle regole insensate ed ipocrite, senza il quale Manzoni, anche lui, non può vivere, confessandolo al Tondelli: ”Difficile Pier, fermare l’eroe o il nulla..difficile poterli fermare quando si è dato già fuoco alle micce”. Per amore, solo per amore. Per passione, solo per passione. Siamo la generazione dell’inquietudine, ma ben venga. E ancora per un po’ di anni, possibilmente.

Grazie Gian Ruggero per questo emozionante “oltre romanzo”, che ci fa scendere negli inferi per poi farci raggiungere le stelle.